15 gennaio 2007

Caffè e nicotina

Ho sentito dire che fanno parte della famiglia dei veleni.
Io ho ripreso a bere caffè da alcuni mesi, così come sono tornato alle sigarette dopo quasi due anni di astinenza.
Molte persone che conosco evitano il caffè come la peste e posso capirle. Una volta dopo aver bevuto una tazzina di espresso al bar difronte alla scuola sono stato colto da un violento stato ansioso.
Che schifo, odio l'ansia! Ti scava le budella, ti impedisce di pensare con chiarezza.
Dopo quella volta sono stato alla larga dal caffè per un bel pezzo e quando me lo offrivano mi trovavo in imbarazzo, come se dire di no stesse a significare chi sa cosa...
Quella volta credo sia stata, come del resto quasi sempre, la mia ipocondria.
Cazzo il caffè, cazzo ora muoio! Maledetto barista, era una spia della CIA, mi ha avvelenato!
E poi la nicotina...
Solitamente la gente fuma se è nervosa, per me è l'opposto. Se sono rilassato mi va di fumare, altrimenti vade retro Marlboro Light!

Colto da forte ansia vengo catapultato in un limbo di sofferenza dove le pareti del nulla mi schiacciano senza pietà. Più di una volta sono stato tentato di scappare e invece restavo lì a soffrire, a cercare di camuffare il dolore.
Ho anche immaginato di correre nella vastità e di gridare al cielo il mio malessere, liberarmene a braccia aperte, il vento assente, solo io ed uno smisurato spazio erboso dove lanciarsi a perdifiato.
No, non mi convince.
E' alla gente che devi dire, ai tuoi simili, ai tuoi compagni di sofferenza.
Pensi davvero di essere tu solo, sei così presuntuoso da credere al tuo personale fardello.
Pensi davvero che dio si sia scervellato una notte intera per trovarti un angolo tutto tuo dove soffrire, lo credi?

Ora non più. Sono stato tremendamente ingenuo, ridicolo, con le mie lacrime di cristallo.
Il pianto del mio vicino è simile al mio, il male è comune.

Adoriamo essere compianti, ma odiamo la pietà, quindi?
E' una giochino la sofferenza? E' un trastullo contro la noia?
Non so darmi una risposta; ci penso, ci ripenso, poi lascio perdere.

Un bambino mi fissa con i suoi occhi divini.
E' mio figlio. Cosa pensa di me?
Cosa si aspetta? E io cosa ho da dare?
Che paura amico sofferente, che missione...



Il capo indiano danza sotto un tetto di stelle.

Ha acceso un fuoco e ha letto il verdetto nella colonna di fumo.

Da oggi a domani potrebbe essere morto.

La notte lo corteggia, lui danza.

All'orizzonte la furia dei cavalli e le divise blu.


13 gennaio 2007

1° bacio: Nuova dimensione

Il titolo non è a caso.
Mi aggiravo con le mani in mano; chiodo e jeans a campana, le sigarette in tasca.
Se ripenso al mio stato d' animo fa capolino la parola presentimento, me lo aspettavo, mi scivolava sulle ossa.
Non la vedevo da due giorni, poi compare e il mio cuore trema.
La accompagno ad acquistare dei libri e dei quaderni, poi parlo perché non riesco a stare, mi ha baciato, si, ma con distacco.
Io: C'è qualcosa che non va, vero? Ho appena detto le parole sbagliate, l'ho imboccata...
Lei: Mi assalgono dei dubbi, quando non ci sei, quando sono a casa.
Io: dubbi? Di che genere?
Lei: Dubbi su di noi. Poi ho da studiare, sai la scuola...
Io: Scuola? Che c' entra la scuola? E io?
Lei rimane in silenzio
Io: E' finita vero? Mi pento immediatamente di averlo detto, che cazzo mi passa per la testa?!
Lei: Va tutto bene poi ho dei dubbi... Non so se ti...
STOP! NON LA LASCIO FINIRE, NON CE LA FACCIO AD ASCOLTARE QUELLO CHE PENSO STIA PER DIRE.
Io: è finita vero? Ti odio, sparisci...
Lei ha gli occhi lucidi, si volta, si allontana.

Tutto qui?

All'inizio non realizzo, poi mi assale qualcosa quando me ne vado in giro con gli amici, qualcosa di strano, è come essere lontano mille miglia, incredulo, al limite e mi separa un sottile strato di normalità dalla disperazione.
Ti dici che forse è solo un momento e ripensi ai baci, alle emozioni che vi hanno accomunato e a come in quel momento pensavi di essere speciale, una parte di lei, niente altro oltre i tuoi occhi nei suoi, il suo mondo, tu il suo mondo.

Un compagno di veglie notturne al microfono una volta mi disse che mi ero costruito un castello di carta, qualcosa di bello ma fragile, sempre lì lì per crollare. Avevo idealizzato l' amore come un qualcosa che non termina perché è troppo immenso per capitolare, così appagante che non ti lascia immaginare l' altro lato, almeno finché non ne conosci ogni sfaccettatura.

Io non sapevo, non immaginavo che si potesse soffrire così tanto, essere devastati a diciotto anni, non ero pronto a tanto dolore, non mi avevano preparato. Nei film l'amore che finisce non mi coinvolgeva, non capivo e non mi soffermavo su quel che l'attore metteva in scena, non capivo il perchè di tante canzoni tristi, mi annoiavano, non ero partecipe.

Il giorno dopo era sabato, era pioggia, l' estate fra i suoi capelli ormai un ricordo che ti spaccava in due se solo si affacciava; e tu che lo scacciavi, guai a riprendere quei trascorsi, guai tornare con la mente all'estate, al primo bacio, alla complicità ormai sfumata.
Piove, prendo il treno con un mio amico; no, non avevo amici, non avevo nessuno in quel momento, mi tenevo il mio dolore e non sapevo spiegarlo e mi vergognavo di essere piegato da una ragazzina, dal suo odore, dal suo volto.
In viaggio mi chiedevo ogni istante dove si trovasse e se anche per lei c' era del dolore in quella piovosa mattina d'autunno e il solo pensiero che il suo dolore potesse essere solo per il fatto di avermi fatto soffrire mi spaccava in due.
Ero nella nuova dimensione, come se qualcuno avesse tolto una sorta di pellicola dai miei occhi.
I colori diversi, le cose e il loro nuovo significato. Un muro scalcinato visto dal finestrino del treno e le erbacce; il mio personale quadretto di tristezza, perché?
Guardo il mio amico seduto di fronte e devo renderlo partecipe di tanta angoscia.
Perché un ritaglio di paesaggio urbano, un muretto alla fermata del treno, l'erba incolta, un cassonetto e l'aria uggiosa, perché tutto questo mi deprime? Non mi era mai successo, me ne fregavo, non notavo quei dettagli nella vecchia dimensione.
Allora realizzo, non del tutto ma in parte sì.
La tristezza così profonda, così nuova, che mi ha sorpreso e calpestato, non è all'esterno, non è nel paesaggio. E' dentro di me, tutta mia, sono io che coloro di grigio il mondo.



Un sabato di pioggia, un sabato di dolore, passerà più di un anno e andrò allo sbando.
Ero un ragazzino col suo dolore, senza soluzione.



Impreparato e fragile. Ultime parole sul fatto, 16 anni dopo.

Riders on the storm

Riders on the storm

Into this house we're born

Into this world we're thrown

Like a dog without a bone

An actor out alone

Riders on the storm