21 dicembre 2005

Il compromesso

Non c'èra mai stato un faccia a faccia, la nostra era una convivenza impossibile e tacita. Io cercavo di ignorarlo; quando si faceva vivo era lo stress, era la stanchezza, era il cambio di stagione, non era mai il DAP.
Lui, la bestia immonda, l'antro gelido e oscuro, lanciava i suoi sintomi all'attacco ogni volta che alzavo anche di poco la cresta.
Un esempio... Vado ad un concerto, mi immergo nella calca, mi diverto, torno a casa con la mia fetta di sicurezza e benessere. La volta dopo, ad un'altro concerto, vado senza problemi forte della sicurezza acquisita la volta prima. Lui, il nemico, lo sa ed ha già in mente una rappresaglia.
Così accade, non proprio all'improvviso, arriva il malessere. Fortunatamente sono con mio fratello, fortunatamente quando comincia la musica si porta via tutto e riesco a divertirmi.
Ecco che i conti tornano. Lui non è sempre presente, non vigila costantemente su di me, ma mi colpisce di tanto in tanto, giusto per ricordarmi che esiste. Ecco che cominci a vivere nella sua ombra, sempre sul chi va là. Roba da pazzi...

Si, pazzia è la parola giusta, perchè se pensi a qualcosa che non è un dolore, che non è una febbre, un rossore, un rigonfiamento, allora puoi anche arrivare pensare che non ci sia un bel niente che sei solo un paranoico del cazzo che ha bisogno di essere sedato e messo a cuccia; per fortuna non è così.
Trattasi infatti di uno squilibrio chimico e di una specie di centralina che abbiamo nel cranio che entra in funzione quando non dovrebbe. La sua funzione è metterci in allerta fino ai livelli più estremi, fino al panico puro. Ringrazio infinitamente la mia psichiatra per questa illuminante spiegazione, veramente. Questo mi ha fatto capire che il panico non è qualcosa legato alla mia mente, o meglio, non sono pazzo...
Ma questa è storia attuale e io stavo raccontanto i vecchi tempi, i tempi del compromesso.

La sua regola non scritta diceva:
Tu vai dove dico io, quando lo dico io, come dico io.

Nel mio immaginario è un'essere che vive nell'ombra, è composto da gelida nebbia che sparge sapientemente.

Ai tempi ho accettato queste regole... ho accettato il compromesso... non sapevo che altro fare.

Così lui si è fatto un po' da parte, ha capito di avere il coltello dalla parte del manico.
Il coltello, tanto per essere volgari, mi stava infilzato nel bel mezzo delle chiappe.

Allora sono passati alcuni anni in cui ho avuto periodi di "tutto va e lascia che vada così" e periodi di "non ne posso più". Gli anni in questione sono quelli che vanno dal 1995 al 1999.
Sono anni in cui ho lavorato e studiato, anni in cui sono andato dove volevo quando volevo, ma sempre secondo le sue regole.

Vai dove dico io: locali che conosco, locali che hanno aree semi aperte e non troppa calca. Non nei posti che non sono in grado di ricordarti che esisto, non nei posti dove ti ho travolto.

Quando lo dico io: Non il sabato, non se è una serata così così, devi imparare a non infastidirmi a non cercarmi altrimenti io mi faccio vivo.

Come dico io: Vai con un mezzo tuo così in ogni momento te ne puoi andare, non sei legato a nessuno, non devi aspettare nessuno.

Assurdo... e non poteva durare. Non si può vivere con la catena al collo.

14 dicembre 2005

Un fine settimana

Di sabato mattina prendo il treno alla stazione della mia città. E' una mattina grigia, sono più o meno le 6. Sul treno ci sono pochi studenti universitari. All'idea di prendere il treno ho dormito pochissimo, ma in viaggio mi sento tranquillo, ascolto del blues.
Scendo a Firenze e prendo la coincidenza per Bologna. Il treno è affolato, mi siedo, sfoglio una rivista e cerco di stare tranquillo. Non starò male, non sverrò, non accadrà niente di niente.
Il treno si ferma, sono a Bologna. Il viaggio è durato meno di quanto m'immaginassi, ne sono felice e quasi incredulo chiedo conferma al tipo incravattato che mi stà di fianco.
Il personaggio conferma che siamo a Bologna.
Abbiamo fatto prestissimo... gli dico con l'enfasi di uno che si è appena tolto un dente e temeva il peggio. Il tipo mi guarda strano, me ne frego...

Sono a Bologna grazie ad una chat. Ho conosciuto una ragazza più grande e dopo alcune settimane di chat e telefono mi ha invitato a trascorrere il fine settimana a casa sua.
E' il 1999, lei si chiama P, ha 34 anni. Naturamente ignora il mio disturbo DAP.
Andiamo fino a Ravenna dove lei abita; sto bene, niente ansia, lei mi piace, parliamo del più e del meno con un po di imbarazzo.

Guardiamo Matrix sul suo letto poi ci baciamo, poi facciamo sesso. Sto molto bene, niente ansia, niente pensieri angoscianti. Dopo cena però ho una strana sensazione, qualcosa incombe, ma cerco di non pensarci. Facciamo altre cose, parliamo e alla fine andiamo a letto.
Cerco altro sesso per distrarmi e ci riesco, all fine mi addormento pure.
Alle 7 spalanco gli occhi, come per un'incubo, ma non ricordo alcun sogno ne bello, ne brutto.
Lei dorme, cerco di rilassarmi osservando la sua nudità; è così tiepida, liscia, ma io ho dentro qualcosa che non va. Sto sudando e mi manca l'aria. Penso che c'è un treno da prendere, penso che dovrò probabilmente mascherare il mio star male. La cosa mi terrorizza. La cosa mi fa sentire un perfetto idiota, una nullità.

Dopo un po lei viene a bussare alla porta del bagno, io sono seduto sulla tazza con la testa fra le mani. Sto veramente male, quasi da implorare aiuto.
Lei mi dice che è nuda, mi dice di farla entrare che nella vasca ci stiamo pure in due, poi ride.
Io mi perdo tutto ciò, non riesco quasi a risponderle. Tutto rovinato, tutto in fumo, il panico vince ancora, si porta via la mia vita, trasforma le mie esperienze. Maledetto!

Alla fine trovo una scusa, mi faccio accompagnare alla stazione, indosso con tanta fatica la solita maschera di finto benessere. Lei è amareggiata, non capisce del tutto la mia fretta di andarmene.
Ti sei stranito, mi dice
Io nego, nego l'evidenza, sorrido e non so perchè. Mi dico... diglielo! racconta... e' una donna intelligente, siete amici, c'è dell'intimità, butta fuori sto rospo. Ma non lo faccio, non ce la faccio.
L'ansia mi chiude lo stomaco e prima di montare sul treno le do un bacio a denti stretti perchè ho la nausea e perchè lei è bella e io me ne vado così, all'improvviso, sconfitto dal mio malessere.
Appena il treno s'immerge nei paeaggi della Toscana mi tranquillizzo, mi viene pure fame e poi mi metto a leggere la bozza di un racconto. Casa è ormai vicina. Mangio, bevo una coca, poi leggo ancora mentre penso a com'è andata e mi dico che non è successo niente, ma non è vero.

12 dicembre 2005

Alti e bassi

E' veramente lunga la lista delle volte che sono stato male. Per la precisione ne elenco un po: in spiaggia e mi rintanavo sotto l'ombrellone, in discoteca e speravo che arrivasse quanto prima l'ora di andarsene, in pizzeria e tanti saluti alla cenetta rilassante, di notte nel mio letto, di giorno in auto...

Alcuni attacchi di panico mi sono rimasti impressi per quanto sono stato male:
nel 1996, appena giunti all'isola d'elba per il campeggio
nel 1998, in vacanza in Sicilia
al cinema a vedere: Life, Il mostro, star wars episode 1 (dovrei smettere di andare al cinema??)
Al pub ormai defunto la sera che ho conosciuto P
Due mesi prima che nascesse mio figlio, quando io e la mia compagna siamo usciti con le sue amiche e i loro fidanzati

Una lista che significa ben poco, ma mi andava di farla perchè ogni volta che ti senti tanto vicino a morire ne esci debilitato, derubato di un pezzetto di libertà.


Spesso mi sono sentito in colpa. Pensavo (e mi facevano pensare) a tutte le cose che ho attorno e mi dicevo ( e mi dicevano) che al mondo, come sappiamo, c'è chi soffre veramente e lotta per la vita tutti i giorni. Ma la verità è che non puoi stare meglio pensando a chi se la passa male...
Al panico non gliene frega della gente che si spara e non è libera di dire/fare quello che vuole, non gliene frega niente di chi muore di fame e malattie. E poi mi sembra veramente da stronzi "utilizzare" il male altrui per cercare di sentirsi meglio. Oggi come oggi a chi mi dice ciò rispondo con un sonoro vaffan'culo!

In 13 anni solo una frase m'è sembrata vicina alla soluzione.
La frase era: ma guarda che tu non devi mica combattere niente...
Negli anni ho ripensato spesso a queste parole, non perchè fossero la soluzione in assoluto ma perchè nella loro semplicità c'erano molto vicine, una specie di indizio.


Una donna, il mio problema, la maschera che vacilla...
Per la serie spero che sia d'aiuto a chi ne soffre e ha una compagna/o
Nell'autunno del 1993 iniziai una storia con una ragazza di nome R.
Già in fase di approcci amorosi e via dicendo il mio disturbo si era come fatto da parte, una specie di cortesia fatta all'amore.
In quasi 3 anni di storia R non ha mai saputo, ad R non ho mai detto una parola, oggi mi chiedo come ho fatto...
Come si può avere una relazione e tacere su una cosa tanto importante? Sicuramente adesso non ci riuscierei, probabilmente allora era più bravo...
Spesso lei si lamentava che si andava poco a cena fuori, che si andava poco al cinema, che insomma eravamo degli asociali. Mi diceva: Ogni volta che ci vediamo è per imboscarsi a fare l'amore...
Premetto che gli attacchi di panico mi portarono alla depressione; chiaramente se devi vivere limitandoti perchè temi di andare in un posto o in un altro prima o poi il crollo arriva.
E devo dire che il sesso può essere una consolazione momentanea, ma assolutamente non è la soluzione purtroppo.
Che dire... inevitabilmente poi la storia naufragò. Anche, e devo dirlo, a causa dei miei sbalzi d'umore.
Il bello è che quando lei mi ha lasciato gli attacchi di panico sono scomparsi. Allora capii che se ci sono dei pensieri intensi tipo il dolore per una perdita, l'innamoramento e/o novità varie il disturbo si fa da parte, per "magia" scompare.
Ero ormai convinto di averli scacciati dalla mia vita, il loro ricordo mi sfiorava a malapena quell'inverno del 1995.
Andavo nei locali con i miei amici, in giro, a cena fuori del tutto rilassato e felice.
Poi, nuovamente la notte dell'ultimo dell'anno...
La cena era stata perfetta fra risa e battute varie, poi in discoteca a Viareggio e mentre mi divertivo... crack!
Una sensazione familiare allo stomaco, la sensazione di essere perso, la sensazione di una mano che non trovi in mezzo alla folla. Respirare diventa difficile, le mani sudano, il locale mi pare stretto, l'uscita irraggiungibile; devo andarmene.
Mi metto seduto, crollo a sedere, crolla tutta la mia sicurezza, sono tornati...
Non è una attacco fortissimo e dopo un po riesco a tranquillizzarmi, sempre sorridendo, sempre con la faticosa maschera da sorreggere davanti a chi mi circonda...
Come dicevo non fu un attacco dei peggiori, ma riuscì a demoralizzarmi poichè un problema che mi pareva sconfitto in realtà non lo era.
Risultato: torni al punto di partenza, ti sembra di non esser mai stato bene e la disperazione fa capolino...
Negli anni ci sono stati periodi di benessere in cui andavo in giro ecc... e periodi in cui mi rintanavo nella mia cripta e la cosa difficile è spiegarlo agli amici che fanno domande.
La serie di frasette/domande che odio è:
Sei scomparso...
E' un po che non ti si vede...
Che combini?
Stai bene?
Sabato sera che hai fatto? avevi il cell spento...
Difronte a queste frasette ti senti in dovere di trovare le bugie più fantasiose ma all fine, quando sei stufo di mentire, fai il vago e inevitabilmente ti prendono per suonato...

11 dicembre 2005

Il mio anno zero

La mia vita si è divisa in due periodi cha vanno da 0
a 19 anni e dai 19 ad oggi.

Rispettivamente parlo del periodo ADAP (avanti disturbo da
attacchi di panico) e periodo PDAP (Post disturbo da attacchi di
panico).

Non riuscivo a capacitarmi di ciò che mi stava accadendo. Cercavo di fare quello che avevo sempre fatto; stare con gli amici, andare ad una festa, mangiare, dormire, cercare un lavoro.
Ma non mi riusciva più. Non potevo che vigilare sui i miei sintomi più o meno immaginari.
Il mondo era inesorabilmente cambiato, il mio modo di percepire le cose veniva filtrato da "non sapevo cosa". E poi non accettavo, assolutamente non accettavo l'idea di avere qualcosa che fosse legato alla mia mente.
Probabilmente, mi dicevo, devo modificare il mio stile di vita e vedrai che con una fidanzata, il lavoro sicuro e il conto in banca le cose cambieranno.
Non avevo bisogno di raccontarlo agli amici, e poi mi sarei vergognato troppo, non volevo assolutamente essere uno con un problema, ed ero certo che mi sarebbe bastato cambiar vita, avere finalmente un esistenza sana con delle soddisfazioni morali e, perchè no, anche materiali.


SPEDITO DALLO PSICHIATRA DAL MEDICO CURANTE
Per la serie "Sapevo perchè ci andavo, ma non ci credevo"
La donna col camice mi batteva con martelletto per verifcare i riflessi e poi mi faceva domande alle quali non volevo assolutamente rispondere. Mi vergognavo come un ladro...
Ha la tendenza a rimuginare sulle cose?
Rispondevo si ed era vero.
Ha paura di morire?
Risondevo no ma non ne ero certo
Dopo circa mezz'ora ne uscivo ripulito di 150.000£ e con una bella ricetta a base di psicofarmaci in tasca.
Il farmaco in questione era il Tofanil da 25mg da prendere due volte al giorno, una specie di m&ms in miniatura che doveva curare il mio disturbo.
Nel frattempo avevo trovato il "lavoro sicuro" e mi guadagnavo da vivere e soprattutto mi distraevo. Ma la notte era sempre un problema addormentarsi e prima di prendere delle gocce mi sarei fatto scorticare vivo. Fu così imparai a leggere fino a sfinirmi; libri, riviste, cruciverba. Alla fine crollavo io e mi crollava il libro sulla faccia.

Un bel giorno però i pensieri, il rimuginare, arrivano anche sul lavoro. Fu come se qualcosa avesse pian piano sfondato una barriera. Io mi ero barricato dietro le cose da fare, ma il paziente nemico si era messo a rosicare le mie mura di cinta ed infine eccolo sbucare nei miei pensieri.

Ero agli inizzi e non di rado mi affibbiavano alcuni lavori di routine, cose che puoi benissimo fare senza pensarci troppo e che alla fine ti annoiano pure un po'. Non era un bene, i lavori monotoni e ripetitivi lasciavano troppo spazio ai pensieri assillanti del tipo:

Non ne uscirai mai... No, non dirlo!
Sono un povero psicopatico si o no (sbarrare la casella interessata)
Potrei arrivare ad uccidermi?
Le medicine che ho preso mi fanno traballare o me lo sto solo immaginando?
Perchè ho questa sensazione di non essere presente, di vedere le cose come da lontano...
ecc...

Effettivamente avevo la tendenza a farmi delle belle seghe mentali...
Ma certi disturbi erano reali e se solo ne avessi parlato col mio medico avrei saputo la verita invece di angosciarmi inutilmente. Ad esempio, il fatto di vedere le cose come da lontano o le piccole vertigini sono sintomatologie di uno stato ansioso+altra roba ecc... (scusate ma odio i termini specifici da manuale del piccolo Freud), quindi il miglior consiglio che posso dare a chi ha questo problema è: PARLANE!
Non dico di uscire in strada con la maglietta I love panic attack... ma non fatevi problemi a dire che avete un problema e, perchè no, che proprio in quel momento state male, che nel bel mezzo di una cena dovete uscire, dovete stringere la mano di un amico e sentirvi confortati per un attimo. Credetemi c'è un sacco di gente ben disposta... un sacco di gente che oggi conosce questo disturbo e non c'è bisogno di farne un fardello personale da tenere sotto il cuscino.


Cosa mi è successo poi?

Allora...
I miei amici erano patiti delle discoteche e ci sono alcune cose che un "poveretto affetto" da attacchi di panico odia e cerca di evitare: essere lontano da casa, fare la fila, stare nel mucchio.
Naturalmente la discoteca, che oltrtutto non mi è mai piaciuta molto, è tutto questo.
Fortunatamente era l'estate del 1993 (l'anno zero) e da queste parti si animano le passeggiate sul mare e stare all'aperto eliminava una parte del problema.
Ma la cosa più dura era tener su la maschera davanti alla gente, davanti alle ragazze.
Bisogna tener conto che nel 1993 dei DAP non ne parlava quasi nessuno e per un ragazzo di 19/20 anni era veramente un problema trovare dei riscontri. Oltretutto a me sentir parlare di ansia e depressione in tv dava fastidio, e persino un film comico tipo "Tutte le manie di Bob" con Bill Murrey riuscì ad agitarmi poichè il protagonista era un fobico convinto...
Conlusione: non volevo accettare il problema, non ne volevo sentir parlare poichè lo riportava a galla, non capivo ancora bene la causa e cosa fosse, insomma naufragavo alla deriva...


__Stop

10 dicembre 2005

Prefazione a tredici anni di distanza

Sapevo per certo che alcune cose erano giuste; la scuola perchè altrimenti nessuno ti assumerà, e poi ascoltare i genitori perchè ci sono passati prima di te (forse, ma non credo poichè erano altri tempi, anche se magari certe cose erano vere ieri e lo sono pure oggi).

Odiavo la parte disciplinata della scuola, quella che pretende il tuo culo sulla sedia e i gomiti sul banco, odiavo ascoltare le lezioni che non suscitavano in me interesse e quelli che si sforzavano di stare attenti e quelli che ci stavano e capivano poichè io non ne ero capace.


nota tecnica1: Perchè risalgo ad allora? Perchè confrontando pensieri e ricordi capisco che probabilmente era già tutto predisposto.

In un giorno senza sole mando a fare in culo la scuola, all'improvviso ma annunciandolo con i miei atteggiamenti alcuni mesi prima.

nota tecnica2: i miei per punizione mi regalarono una moto

(Procedo nei miei ricordi con un po di umorismo, daltronde è una prefazione e non deve, credo, annoiare nessuno)

Gironzolo per qualche mese come una specie di James Dean dei poveri e mi concedo il sollazzo del "primitivo" rock degli AC/DC, poi arriva l'estate del 1991.

Capita, a dire il vero nelle meno originali delle storie, che chi parte alla conquista di una ragazza finisca poi per cuocersi dell'amica. Mi spiego: S, che mi piaceva, aveva un'amica di nome A. Io per merito del fato passai da S ad A.

Tutto questo probabilmente ancora non "illumina" chi legge, e la domanda spontanea sarà: cosa c'azzeccano gli attacchi di panico con tutto ciò? Amico mio, mi direte poi, ci stai facendo perder tempo o cosa?
Io invece di rispondere rimando chi legge alla nota tecnica n1.


A era bellissima, la fata di un poema che scioglie il cuore, una ragazza del mio paese che divenne prima una mia grande amica (e io me ne innamorai perdutamente), poi mi uccise consegnando alle mie labbra il primo bacio nell'ottobre del 1991. Quel bacio lungo le rive del fiume artificiale mi catapultò in un miraggio d'amore, una sorta di idilliaca visione del futuro al fianco della mia donna. Non ne avrei mai voluta un'altra, lei era l'unica, lei mi aveva inconsapevolmente stregato nella magica estate del 1991.
Tutto bello, bellissimo, ma estremamente fragile.





Sintomi di un cuore spezzato

Quando divenni uno zombie travolto dalle pene dell'amore trovai ristoro nell'utilizzo dei cannabinoidi. Scoprii l'hascisch come un bambino scopre il gelato e altrettanto golosamente ne pretesi sempre più.
Fumare le canne mi dava pace; ridevo e mi sentivo perso al punto giusto. Arrivarono anche i Doors con le loro melodie ipnotiche e prima di andare a letto davamo sfogo a tutta la nostra fame chimica.

La verità è che in fondo all'anima mi sentivo svuotato e sapevo di dover reagire. Fu così che decisi di concedermi un'utima notte brava. Mi sarei lasciato tutto il marcio alle spalle allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre 1992.

Scrivere quello che segue mi costa. Non ci avevo più pensato e quel giorno è sepolto nei miei rimorsi.

Dopo una notte in discoteca a festeggiare l'utimo dell'anno decisi di seguire un gruppo che non era il mio per proseguire la festa, anzi il festino, in una specie di sperduta baita di montagna.
Li calai una pasticca, era exstasy.
La parola viaggio andato male vi è familiare?
Un viaggio andato male è uno stato di angoscia amplificato dalla droga che avete ingerito, un partenza che rischia di essere senza ritorno.

Ricordo uno schiaffo dato per farmi riprendere, volti appannati e le pareti che a volte non c'erano. Andò esattamente così.

Probabilmente è successo a molti altri coglioni come me, tuttavia al ritorno da quel 1 gennaio 1993 non riuscivo a convivere con i sensi di colpa. Nella mia mente ero un drogato che si era bruciato, un povero rincoglionito dalla droga. Tengo a precisare che nella mia breve esperienza con le droghe più o meno leggere ho "assaggiato solo" un paio di pastiglie, ma la mia vita era per certi versi cambiata.



IL PRIMO CRASH
Nel buio della mia camera, nella casa dove sono nato, riflettevo in modo ossessivo su quello che era accaduto quel 1 gennaio 1993. Erano passati pochi giorni e i sensi di colpa mi stavano logorando dentro. Avevo letto di certe persone danneggiate dalla droga, dagli acidi e ci pensavo e ripensavo e mi chiedevo se era il mio caso. Poi questi penseri divennero troppo intensi e iniziai a sudare e a respiare con difficoltà. Allora mi alzai dal letto e trabalando nel buio chiamai mia madre. Lei e mio fratello mi fecero sdraiare mentre un forte dolore al petto mi spezzava in due. Non sapevo cos'era e credevo di essere in punto di morte.
Iniziò ad andare meglio quando mio fratello mi disse di respirare con lentezza, e mi disse che era solo un crollo nervoso, arrivò anche un bicchiere con un goccio d'acqua e per la prima volta in vita mia ingerii le immancabili gocce EN.
Ciao sono un Attacco di Panico e questa è mia sorella Ansia Anticipatoria...
La cosa certa, e chi c'è passato potrà confermare, è che la vostra vita non sarà mai più la stessa per molto, molto tempo. L'attacco di panico è un'esperienza che stravolge, che blocca, una scossa al massimo voltaggio.
Iniziate immediatamente a convivere con quella che gli specialisti chiamano Ansia anticipatoria che detta in parole povere non è altro che la fottuta sensazione che il panico incomba sempre, che cel'avete dentro e che non aspetta altro che invadervi come acqua acida che ribolle sotto pelle. A me da quella sensazione, come avere l'acqua della batteria al posto del sangue.
E' terribilmente abile a sconvolgermi, è l'essenza stessa del malessere e la cosa brutta è che non ha un apparente motivo d'essere. Proprio così... arriva inaspettato ad una cena, al cinema, a letto e tu ti dici cazzo no! Cosa diavolo vuoi, perchè ora?
Allora, ed è la peggiore delle cose, cerchi di mascherarlo. Un colpetto di tosse, repiri a fondo, ti sistemi sulla sedia, ti dici che non è niente, osservi gli altri, qualcuno che parla e gli fai un cenno di assenso anche se non te ne può fregare di meno, perchè in quel momento tutto ciò che vorresti è essere a casa tua con in mano un bicchiere ormai vuoto mentre il sapore dolciastro delle gocce EN scivola giù per la gola. Piccole trasparenti gocce in fila, dieci piccole gocce che si calano nel tuo organismo per ristabilire un po' d'ordine psichico.

____Stop